il periodo storico che amo di più è il Medioevo e fra i suoi ambiti artistici per me, il più propulsivo e quello ha influito su tutti gli altri, è stata l’Architettura. Perciò dopo una ricerca bibliografica preliminare, una volta selezionati i siti più promettenti sono andato a verificare di persona sul posto. Per ambientare il romanzo Mi serviva un’abbazia né troppo grande né troppo piccola e che avesse i requisiti di autenticità e originalità. Ne ho visitate diverse e poi ho scelto di ispirarmi a quella di Sant’ Antimo e di cui purtroppo è rimasta intatta solo la chiesa il resto solo rovine. Ma è bastata quella per entusiasmarmi e ricostruirla idealmente a Metelliano per rappresentarvi buona parte del racconto. Ho anche dovuto ideare una pianta per identificare meglio gli spazi, i percorsi, le aree riservate e quelle aperte, quello stesso che per una migliore comprensione ho inserito anche nel libro. Mancano le pertinenze esterne quelle che ho immaginato ammalorate e in fiduciosa attesa di una ristrutturazione. Dopo la chiesa e la sua cripta, il luogo più rilevante per il racconto è la gigantesca sala capitolare, dove Boringhieri scopre quello che nel gergo ecclesiastico rappresenta il tesoro del monastero e per il quale, per l’approfondimento e la sua valutazione, si affida a uno specialista del settore: Moshe Tabibnia. La minuscola cella ceca dove Boringhieri è costretto inizialmente a svolgere il suo compito di perito è la prima dopo il locale amministrazione, costretto controllato, a volte rimproverato da suor Clotilde, ma delle suore e delle monache continuo in un blog successivo.
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